Come può essere definito un disastro? Quando durante una procedura qualcosa va storto, molto storto, e disperiamo di venirne fuori. Un’arteria che si rompe o che si chiude in modo da far presagire un esito drammatico, un sistema di rilascio, una guida, un filtro che non si riescono più a estrarre e le cose si mettono male. Cominciamo a maledire eventuali nostri errori o la decisione presa in precedenza di effettuare la procedura in quel modo o di effettuare la procedura in generale, poi malediciamo di aver scelto questa professione e via di questo passo sino ai massimi sistemi.
L’atmosfera si surriscalda, i gesti si fanno nervosi e gli occhi disperati. Ci si trova sudati sotto il camice di piombo e guardiamo speranzosi gli altri intorno a noi augurandoci che ci illuminino con qualche idea o qualche soluzione.
Ecco! L’illuminazione. Qualche volta ci sembra che l’illuminazione venga dal caso o da un’intuizione felice. Ma più spesso, se ci arriva, proviene da esperienze precedenti, nostre e altrui. L’associazione di “esperienza” e di “altrui” è cruciale. Nel senso che l’attività endovascolare, come ogni altra attività manuale, si basa su apprendimento e acquisizione di esperienza, su tips and tricks, come dicono gli anglosassoni, che fanno la differenza, che ci fanno conseguire i great saves. Non sempre però l’esperienza può essere diretta: la nostra vita professionale può non essere abbastanza lunga, così lunga da permetterci di affrontare con successo qualunque possibile disastro.
Allora diventa prezioso il confronto con gli altri: ci si ricorda di aver visto un caso simile a quello che stiamo affrontando descritto da un altro che l’aveva risolto in un modo a cui noi non avremmo pensato. Il ricorso a un accesso percutaneo non comune o l’uso di un certo catetere o di una certa guida in un modo diverso dal solito, per esempio. Gli esempi sono moltissimi, virtualmente infiniti e qualche volta sono testimonianza di una fantasia tipicamente italiana di cui andare fieri. L’esempio (“in questo caso io ho fatto così!”) ci fa capire l’abissale differenza tra l’esperienza, magari ragguardevole, acquisita dal singolo operatore e quella, sterminata, accumulata dalla comunità degli operatori, tra l’autodidatta e quello che ha goduto dell’insegnamento di maestri.
In un confronto collettivo ognuno di noi può essere docente e discente. E lo scambio è sempre proficuo. Si suole ripetere che dal confronto con gli altri si porta sempre a casa qualcosa: si deve pensare infatti che in ogni campo della nostra attività ci sarà sempre qualcuno più bravo di noi.
Questo è lo spirito del Vascular Club: il confronto amichevole, cordiale, magari qualche volta acceso, di una comunità, quella degli interventisti endovascolari, che annovera specialisti con differenti bagagli culturali, disposti a condividere esperienze e opinioni.
Anche quest’anno, come nella scorsa edizione, il Vascular Club è intitolato a Gigi Matricardi, insigne maestro di vita e di medicina, della cui amicizia abbiamo goduto troppo poco. La sua onestà, la sua simpatia, i suoi modi garbati e la sua intelligenza ci rimarranno sempre nel cuore.