Ci si potrà chiedere il perché di quel “consapevole” che dovrebbe connotare il carattere della scelta. Ogni scelta è consapevole? Teoricamente sì, visto che è una scelta, cioè un atto volontario.
Di fatto alcune scelte che operiamo, a voler ben vedere, sono dettate da abitudini, magari sono ereditate da altri che ci hanno preceduto o sono spinte da emulazione, conscia o inconscia e da motivi spesso nemmeno portati a livello della coscienza.
Su questo fanno leva le strategie di marketing. Forse è indebito desumere che anche nelle scelte cliniche e, in particolare, in quelle che riguardano i materiali di uso medico, le motivazioni che portano all’uso dell’uno o dell’altro prodotto possano anche essere riconducibili a motivi non razionali. Ma non è del tutto sbagliato pensarlo.
La consapevolezza deriva da due momenti: il primo è la conoscenza del materiale che si intende utilizzare e in particolare la conoscenza dei suoi pregi, delle sue potenzialità e dei suoi limiti, avendo ben presente da un lato come questo si collochi tra i diversi strumenti offerti dalla tecnologia attuale e dall’altro quali siano i dati della letteratura in proposito. Il secondo è quello che si potrebbe definire “la trasparenza a se stessi” che può consistere nella risposta a domande quali: sono sicuro dell’efficacia dello strumento che uso? Sono stato condizionato nella sua scelta? Acconsentirei che venisse usato su me stesso se fosse necessario?
Consapevolezza significherebbe limitare il margine di soggettività nelle nostre scelte. L’attività endovascolare, come altre attività in medicina, risente di un’ampia componente di soggettività che può essere riassunta dall’espressione “io faccio così perché mi trovo bene o perché ho avuto e ho buoni risultati”. La riflessione critica su questa affermazione costituisce da sempre lo spirito del Vascular Club, riflessione che ha, come momento ineludibile, il confronto esplicito e sistematico delle diverse posizioni.
L’“io faccio così”, senza confronti, appartiene alla medicina del passato. Oggi ci si suole riferire a studi basati su evidenze scientifiche, a linee guida, a registri. Ma è sufficiente questo riferimento in un’attività, come quella endovascolare, che non è azzardato definire artigianale? Le linee guida fanno specifico riferimento alla scelta consapevole? O a quale guida debba essere usata in un’ostruzione cronica femoro-poplitea o distale? Quale coating sia preferibile, quale anima, quale grammatura? L’offerta del mercato è ricchissima. Una riflessione collegiale e pacata volta a chiarire quanta consapevolezza (e conoscenza) motivi le scelte è doverosa visto che non solo l’abilità tecnica e la correttezza delle indicazioni, ma anche l’efficacia e l’idoneità degli strumenti che impieghiamo (dalle guide alle endoprotesi) possono determinare un successo o un fallimento tecnico. Non si deve rammentare che da un insuccesso tecnico non di rado derivano conseguenze drammatiche.
La scelta delle guide nel distretto arterioso sottoinguinale è l’ambito in cui le considerazioni fatte sopra sono particolarmente pertinenti. L’ampia difformità di approccio della patologia ostruttiva – tra gli opinion leader c’è chi prevede l’impiego di tecnologia 0.35 e chi non lo prevede mai – così come l’estrema variabilità nella tecnica di negoziazione – chi privilegia la via sottointimale e chi quella intraluminale – sono un chiaro esempio di come l’attività endovascolare risenta di un’ampia componente di soggettività.
La riflessione sulle guide si inserisce in una sessione del lunedì pomeriggio e del martedì mattina – quella della patologia femoro-poplitea e distale complessa – in cui si affronteranno temi quali le tecniche di negoziazione delle lesioni ostruttive complesse, il ruolo attuale degli stent metallici, la giustificazione all’uso dei palloni medicati e degli stent medicati, la tecnica, l’utilità e i possibili rischi degli accessi distali, la preferenza da accordare alla terapia endovascolare o alla chirurgia nel trattamento degli aneurismi poplitei.
Lo stent carotideo, il cui interesse sembra in parte sopito negli ultimi anni, può trovare uno spazio rilevante con le nuove tecnologie (stent a doppia maglia, doppi filtri di protezione, sistemi semplificati di cateterizzazione)? Alla domanda si proverà a rispondere nella prima sessione del martedì pomeriggio, anche alla luce dei recenti dati della letteratura.
In tema di EVAR, che costituirà la seconda sessione del martedì pomeriggio e del mercoledì mattina – argomento evergreen visto che dati consistenti in tutto il mondo indicano che l’approccio endovascolare è preferibile a quello open se l’anatomia è idonea – che fare nelle lesioni complesse? Quanto in là possiamo spingerci? Chimney o fenestrate? È lecito embolizzare un’ipogastrica se abbiamo il modo per preservarla? È preferibile l’accesso percutaneo sistematico e quale? È meglio l’aggancio soprarenale o quello sottorenale? È una lunga storia…